Fare divulgazione scientifica oggi: intervista ad Andrea Bonifazi di Scienze Naturali
La pagina Facebook di Scienze Naturali mi ha colpito subito: l’ho trovata per caso qualche mese fa, non ricordo come. Una cosa, però, è saltata subito alla mia attenzione: la… naturale passione con la quale era gestita. Un mix tra meme, debunking, informazioni, scene di vita quotidiana prese come pretesto per raccontare una storia e fare divulgazione. Sembra una specie di profilo personale amplificato, chi la gestisce parla solo di quello che gli piace. E lo fa bene, con cura ma allo stesso tempo con leggerezza.
Andrea Bonifazi è bravo e competente. Sulle sue pagine (è presente anche su Instagram) trovate quiz, aneddoti, focus sugli animali e sulla natura in generale. Tutto quello che, in sostanza, piace non solo a lui ma pure a me, e che penso piaccia anche a voi che leggete Bestiale.
Ho pensato dunque di chiedergli un’intervista, per parlare di cosa vuol dire fare divulgazione scientifica oggi: quali sono le nuove sfide e quali le difficoltà? Come ci si rapporta con un hater? Che impatto ha l’intelligenza artificiale in questo campo? Cercavo risposte che potessero tornare utili anche per il mio lavoro. Dall'altra parte della cornetta ho trovato una persona disponibile e sempre con la battuta pronta: ecco cosa è uscito fuori.
Partiamo con un classicone: da dove nasce la passione per la natura?
Oggi lavoro nel campo del monitoraggio ambientale, ma la passione per la natura affonda le radici da bambino. L’uscita di Jurassic Park mi ha segnato: avevo 7 anni e ancora oggi è il mio film preferito. Quello è stato un passo fondamentale per farmi avvicinare al mondo della scienza. Ho sempre avuto questa passione per le bestie strane, anche perché i miei genitori mi hanno cresciuto a pane e natura: abbiamo avuto animali non-usuali tipo iguane, salamandre, ma anche più classici tipo i criceti… sono cresciuto così, con una sorta di giungla casalinga. Dopo il liceo, mi sono iscritto alla facoltà di Scienze Naturali, anche se dopo il diploma non ero sicuro di cosa fare. Addirittura avevo pensato ad archeologia… Quando ero ancora in triennale, il 1 marzo del 2009 ho aperto la pagina che inizialmente era un punto di ritrovo per gli studenti di Scienze Naturali della Sapienza, per scambiarsi informazioni sugli esami.
E lì cosa postavi?
Beh, a dire la verità… le prime cose facevano cagare. Erano sostanzialmente informazioni sugli esami, intervallate ogni tanto da robe tristi come la foto di un animale col nome della specie, al massimo il nome comune... All’epoca si usavano le note, non si usavano i post. Mi interfacciavo con altri studenti e impiegai 9 mesi ad arrivare a 500 follower. Poi, prima dell’avvento dell'algoritmo, ho avuto una bella crescita. Ho cominciato a scrivere in maniera più articolata, prima scopiazzavo qua e là, poi ho iniziato a modificare i testi mettendoci del mio. Vedevo che la gente apprezzava, a me piaceva che la gente apprezzava. anche se alcuni post che rileggo oggi… erano abominevoli.
Avevi un obiettivo particolare?
No, mi è sempre piaciuta la divulgazione, volevo fare il documentarista. Col tempo ho alzato la qualità, ho acquisito conoscenze e anche la capacità di plasmare le conoscenze in un linguaggio colloquiale.
Quindi allargando il pubblico ai non-studenti, che poi è lo scopo della divulgazione: arrivare nelle case e parlare alla gente comune.
Sì, all’inizio mi specchiavo troppo in quello che scrivevo, usavo termini complessi per far capire che sapevo le cose, ma alla fine neanche li spiegavo. Oggi invece “resto umile” e parlo a tutti. E alla gente piace.
Più che comprensibile. E senti di essere più apprezzato su Facebook o su Instagram?
C’è molta differenza oggi tra Facebook e Instagram: da una parte ho 190.000 follower, su Instagram circa 43.000, anche se spesso ho più interazioni su Instagram. Il pubblico è molto diverso: su Facebook è pieno di boomer e si scatena più facile la polemica, parte l’offesa… su Instagram le interazioni sono più pacate. Poi sono uno che non si fa scivolare le cose addosso: se devo risponderti a tono, ti rispondo.
Nel frattempo stava portando giù il cane, che mi ha rivelato chiamarsi Moser, come il poliziotto del commissario Rex. Motivo del nome: tutti chiamavano il cane Rex, quindi Andrea ha deciso di chiamarlo Moser per cambiare. Eccolo qui in tutta la sua bellezza:
Sì, ho letto qualche commento storto a cui hai risposto… a proposito: come ti interfacci con i famosi flame?
Mi infastidisce, o meglio, mi irrita: la gente, pure se non sa nulla, si permette di criticare perché ha letto qualcosa in giro. Il classico effetto Dunning-Kruger: alcune persone leggono mezza riga su un sito e sono convinti di essere esperti di un argomento. Magari anche io ci sono cascato, in passato: all’inizio leggevo mezza cavolata e la riportavo. Però, almeno, non andavo sotto i post degli altri a commentare. Ma un aspetto positivo c’è: gli hater fanno aumentare le interazioni dei post, quindi bene così. E alcune volte interviene la fanbase che mi difende, per fortuna.
E in direct? Ti arriva mai qualcosa di brutto?
Sì, mi sono arrivate delle minacce quando ci fu il caso della pantera in Puglia, qualche anno fa. Io avevo evidenziato come fosse una cavolata, le foto erano di cani o di altri animali. Mi scrisse uno di quel paese dove c’erano gli avvistamenti, minacciandomi e dicendomi che non avrei dovuto più parlare di quella storia.
Un’altra volta, avevo risposto a un tizio educatamente, dicendogli che aveva sbagliato. Lui mi scrisse in privato cose tipo “sei un bambino, le tue mutande puzzano di merda”… sono andato a vedere il profilo: era un professore universitario. Volevo scrivere al rettore, poi ho evitato…
Wow. E invece, cambiando discorso, un post che ricordi con affetto?
Paradossalmente, il post che ha fatto più successo è stato un pesce d’aprile. Era su un tizio che fa le riproduzioni di uccelli minuscoli in miniatura. Io avevo scritto una didascalia accattivante, ma nascondendo indizi che facevano capire si trattava di un pesce d’aprile, compresi hashtag tipo #leggitutto. Quel post ancora oggi è quello che è andato meglio sia su Instagram che su Facebook, con decine di migliaia di like.
Pazzesco. E oggi cosa è che ti spinge ad andare avanti?
Di base lo facio perché mi piace. Magari trovo un insetto o una pianta e penso “su questo ci devo scrivere qualcosa”. Ad esempio, il post sugli afidi ciccioni: li ho trovati su una delle fave comprate al supermercato, li ho portati al lavoro e ho fatto le foto al microscopio. Capita anche che mi metto a scrivere un post alle tre di notte, perché ho voglia di parlare di una cosa.
Altre volte i post si allungano e… diventano libri. E di recente ne hai pubblicato uno: Ventimila (o quasi) specie sotto il mare.
Sì, la pagina è stata fondamentale: Mondadori mi ha contattato tramite Facebook proponendomi di scrivere un libro. Era una cosa che volevo fare da molto tempo, ma non mi andava di scrivere e andare a cercare poi un editore, col rischio di darmelo in fronte (espressione romana che significa una cosa tipo “non farci nulla”, ndr). Me lo hanno commissionato a fine febbraio, ho iniziato a metà marzo e a fine luglio l’ho consegnato. Tempi record: la maggior parte del testo è stato scritto in metropolitana, visto che vado a lavoro in metro e mi faccio due ore di viaggio al giorno. E la sera magari stavo fino all’una o alle due di notte a scrivere…
Sei soddisfatto del risultato?
Secondo me è venuto fuori un bel libro: parlo del Mar Mediterraneo in tutti i suoi ambienti, dalle dune agli abissi, e uso le specie come pretesto per introdurre alcuni argomenti e alcune nozioni. Il tutto mantenendo lo stesso tone of voice dei social, ossia in chiave umoristica: ci ho messo dentro aneddoti cinematografici, cartoni animati, roba nerd e pop… mi hanno detto: devi scrivere un libro che vada bene dai ragazzi di 17 anni in poi. E così ho fatto. Quando ci sono libri di divulgazione sul mare, sono molto mainstream come delfini, squali, tartarughe… io ho cercato di “sbanalizzare” il banale, come l’animaletto che puoi incontrare in spiaggia a cui non dai peso, che però magari ha un aneddoto, una caratteristica particolare.
Quindi è proprio un libro da spiaggia.
Sì. In tutti i capitoli è come se fosse un documentario, a parte il secondo, dove ho usato come escamotage la famiglia che va in spiaggia col bambino che trova robe e si chiede cosa siano. Come può succedere a chiunque.
Ok, andiamo verso la fine dell’intervista. Mi è rimasta una curiosità: la difficoltà più grande che incontri oggi nel divulgare?
A volte trattare certi argomenti è difficile, perché scatenano le offese, come il rapporto dei gatti con la biodiversità autoctona (avevo affrontato il tema nell’intervista con lo zoologo Davide Rufino, ndr). E questo succede anche se cerco di trattare cose in maniera pacata, ad esempio dicendo che le api sono belle ma non sono i soli impollinatori, anzi, in alcuni paesi sono pure invasive… diciamo che, quando ad alcune persone togli delle certezze, si scatenano.
Ed è possibile interfacciarsi con questi utenti, tipo con quelli che credono alle scie chimiche? C’è un modo per fargli capire che quella cosa è scientificamente sbagliata?
No, perché ammazzano il contraddittorio. Perché qualsiasi cosa dici, ti rispondono che sei pagato da Elon Musk, da Zuckerberg… io questi soldi ancora non li ho visti. Ci sono sempre dei poteri forti che ti manipolano, e se gli citi le fonti ti dicono che pure quelle sono controllate dai poteri forti. La persona convinta dell’esistenza delle scie chimiche leggerà solo post di altre persone convinte come lei. Più di qualcuno l’ho anche minacciato di denuncia, perché mi diceva che ero uno scienziato corrotto. Ci sono dei limiti che non vanno superati, neanche sui social.
Dlucis in fundo: l’AI! Secondo te avere un’applicazione valida nella divulgazione scientifica?
Per me è una figata, la uso per fare vignette, ad esempio. Anche se lì scateno chi mi dice “eh, ma così togli lavoro ai disegnatori”... ma io mica se devo fare un meme pago un disegnatore! Per alcune cose, comunque, l’AI può essere utile, ma l’uso che ne fanno sui social è già cancerogeno, tipo immagini di uccelli coloratissimi generati artificialmente. E sembrano verosimili, la gente ci casca: ho visto anche dei professionisti del settore cadere nella trappola… E un post con un animale inventato fa decine di migliaia di like. Mentre io al massimo questi numeri li faccio con… un pesce d’aprile.
Ringrazio nuovamente Andrea Bonifazi per la disponibilità, vi invito a seguirlo su Scienze Naturali (Facebook/Instagram), dove posta sempre contenuti interessanti. Se volete condividere l’intervista:
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