Ciao, io sono Leonardo Mazzeo e questa è la centocinquantaseiesima puntata di Bestiale, che parla dell’avvistamento del melanoceto.
Buio. Totale, fitto, avvolgente. Non c’è altro. Solo buio che si somma ad altro buio, col passare dei minuti, delle ore, dei giorni, dei mesi, degli anni. Per tutta la durata della tua vita non vedi altro. Buio.
Eppure tiri avanti, devi farlo: sei un melanoceto (Melanocetus johnsonii), un “mostro marino nero” o un “diavolo nero”, come ti definiscono quelli in superficie. Ti hanno visto vivo poche volte, e solo perché sono scesi loro. A casa tua, a brancolare nel buio. In superficie sei arrivato solo da morto, per poi essere esposto nei musei, da buon freak quale sei.
E nel frattempo te ne stai là sotto, negli abissi (quelli veri, silenziosi e ineluttabili) dei mari tropicali e subtropicali, a fare le cose che fanno gli animali: cacci le prede, scappi quando la preda sei tu. Classica, spudorata natura. Anche laggiù. Questa è la vita tra i 200 e i 2.000 metri di profondità, e dunque questa è la vita del melanoceto, inserito nel cast di Alla ricerca di nemo nel ruolo del mostro cattivo, ma allo stesso tempo risolutivo. È grazie alla sua lucina, infatti, se Dory riesce a leggere l’indirizzo sulla maschera.
In termini tecnici, quella lucina è l’illicio, un raggio della pinna dorsale più lungo degli altri, che termina in un’escrescenza usata a mo’ di esca. Che, nel melanoceto, si illumina grazie alla bioluminescenza. Mi fermo, ci penso e sorrido di fronte alle infinite strade della natura: questo animale si è evoluto nel corso di milioni di anni fino ad arrivare ad avere una canna da pesca che termina con una lampadina.
Col pesce blob, suo coinquilino abissale, condivide il peso di un’esistenza lontana da noi, che per questo ci spaventa, portandoci a dare etichette e patenti di bellezza. “Decisamente brutto”, “minaccioso”, “mostruoso”: è stato definito in vari modi, dopo il recente avvistamento. E vale la pena parlare proprio dell’episodio in questione, per comprenderne meglio la portata. E decifrarne il messaggio.
L’avvistamento
La bocca spalancata, i denti all’infuori. La nuotata calma, stoica e verticale, verso la superficie. Il nero lucente che contrasta con tutto l’azzurro circostante.
Il video è stato pubblicato su Instagram dalla ong spagnola Condrik Tenerife, che si occupa della tutela di squali e razze, e dal fotografo fotografo David Jara Boguñá. La descrizione del post si apre così:
Potrebbe essere il primo avvistamento al mondo di un melanoceto vivo in superficie e in pieno giorno.
L’episodio si è verificato lo scorso 26 gennaio a largo della costa occidentale di Tenerife, il pesce abissale è stato individuato dalla biologa marina Laia Valor. Il melanoceto è un animale piuttosto diffuso nelle profondità degli oceani, ma vederlo così in alto è un’anomalia. L’animale è morto per cause naturali poco dopo l’avvistamento e oggi si trova nel Museo di Scienze Naturali e Archeologia (MUNA) di Santa Cruz de Tenerife.
Nel video non ci sono riferimenti per intuirne le dimensioni, che qui invece si capiscono bene: è grande solo pochi centimetri, come un mandarino. La specie, tra l’altro, è caratterizzata da dimorfismo sessuale: le femmine adulte misurano 15 cm, i maschi sono molto più piccoli e si fermano a 3 cm.
Nel post Instagram vengono fatte delle ipotesi sul perché si trovasse lì: forse è colpa di una corrente ascensionale, oppure stava scappando da un predatore e si è perso durante la fuga. Per intenderci, questo è un possibile predatore del melanoceto:

O forse era malato, in fin di vita, con le ore contate. E allora avrà pensato: “Ma lo sai che ti dico, fammi vedere che cosa c’è lassù. Se proprio deve essere la mia fine, fammi spingere dove nessun altro della mia specie ha avuto mai il coraggio di spingersi. Fammi consegnare un messaggio”.
Il messaggio
E allora io penso, credo, voglio credere che il melanoceto sia salito da noi con un fardello paradossale, sfidando le leggi della fisica, per portarci il messaggio lontano del suo mondo alieno. Come fosse egli stesso un “Voyager Golden Record” pisciforme.

È impossibile immaginare la portata dell’evento per questo singolo melanoceto, bisognerebbe essere nella sua testa, nei suoi occhi, nel suo corpo nero in quegli esatti istanti di luminosa follia. È come come se un falco per sbaglio superasse l’atmosfera terrestre e finisse a fluttuare nello spazio, guardando le stelle da vicino. Vivrebbe solo per pochi, folgoranti secondi. Un’esperienza pazzesca e irripetibile.
E così, emulando Ulisse e lasciandosi alle spalle le sirene, il melanoceto di Tenerife ha valicato le colonne d’Ercole dell’oscurità. Triste, solitario y final ha risalito l’eterna notte degli abissi fino a scorgere il giorno. Ha visto il sole - il sole, ma vi immaginate? Per una specie che passa la sua vita a farsi luce con una lampadina attaccata in testa - per questa specie, ve lo immaginate cosa vuol dire vedere il sole, la più grande fonte di luce della nostra galassia? Se solo avesse potuto raccontarlo ai suoi simili.
Come Icaro è arrivato fin lassù, quasi a sfiorarne i raggi, per poi andare incontro all’inesorabile fine. Prima, però, ha visto la luce, l’ha vista davvero. E la sua leggendaria impresa verrà ricordata. No: non è morto invano. La sua non è stata la vita qualunque di un melanoceto qualunque. Il diavolo nero risalito dagli abissi è ormai entrato nelle cronache della storia animale e ci resterà per sempre.
E sapete, quindi, cosa è venuto a dirci secondo me il melanoceto? Sapete quale era il messaggio? Uno solo: ha voluto ricordarci che mentre noi esseri umani stiamo qui a preoccuparci delle nostre vite, a rincorrere tutti i giorni qualcosa o qualcuno; che mentre ripensiamo al passato, ci affanniamo nel presente, ci preoccupiamo del futuro; che mentre siamo qui, ogni giorno, a mettere davanti a tutto e a tutti noi stessi, a prescindere; che mentre succede questo, ci dice il melanoceto, là fuori ci sono gli animali.
Pazzi, stranissimi, incredibili, abitano ogni luogo di questo pianeta, pure i vulcani, gli abissi, posti remoti e lontani e (per noi) inospitali, terre e mari che ancora dobbiamo scoprire. Unici, inimitabili, sono l’AI prima dell’AI. Prodotti solo dalla natura, ossia da una serie incommensurabile di coincidenze biologiche che ci hanno permesso di vivere, noi e loro, nella stessa timeline. L’avvistamento del melanoceto ci rammenta che siamo solo una delle tante coincidenze del tempo. Sì: se siamo qua è solo un caso, un meraviglioso caso. Allo stesso tempo esistiamo noi e le creature abissali. Con pari dignità, bellezza, voglia di vivere.
E lo so bene anche io, che sono immerso fino al collo nelle umanissime dinamiche della mia persona: non sono immune, nessuno lo è. Eppure ogni tanto cerco di fermarmi, di uscire dai soliti schemi, di guardare fuori. Solo allora li vedo: gli animali per me sono un’epifania, mi fanno tornare bambino, aprire davvero - davvero - gli occhi, sbalordito, ammaliato, rapito dal mondo. Li guardo e dico: ma allora questa - esattamente questa cosa qui - è la vita. Finalmente in pace col mondo.
E allora grazie, melanoceto, per avermelo ricordato. E godiamocela, ‘sta benedetta tempolinea, frutto di indicibili coincidenze. Guardiamoci attorno, apprezziamo la natura e ricordiamoci che siamo solo un pezzetto minuscolo di una storia fatta di mille ere e milioni di specie e miliardi di anni. Ed è tutto perfetto così.
Chiudo con una vignetta che ho già usato qui, non so quante puntate fa, ma chissenefrega. C’è proprio un melanoceto morente. Salito in superficie, ancora vivo, vede per la prima volta il tramonto. Resta ammaliato. Nonostante l’ultimo granello di energia stia per abbandonare le sue membra stanche, prova gratitudine.
Ora che di fatto l’episodio è accaduto veramente, questa vignetta profetica fa commuovere ancora di più. Il primo e allo stesso tempo l’ultimo sguardo alla bellezza. La fine.
E poi, tutto intorno, la vita che continua, onda dopo onda.
A giovedì prossimo.
Bestiale è un progetto indipendente sugli animali, che si regge sul lavoro di una sola persona. La newsletter resterà sempre gratuita: chi la scrive vuole garantire che la divulgazione sia sempre accessibile per tutti e tutte. Il lavoro di ricerca e scrittura, però, costa tempo e fatica. Per questo, se apprezzi il mio lavoro e vuoi supportarmi con una piccola donazione, clicca qui. Ad ogni caffè offerto mi ricorderò che ne vale sempre la pena.
Se avete domande o se volete fare segnalazioni, potete scrivermi all’indirizzo leonardomazzeo1@gmail.com, oppure sui social: @leon_mazz su Twitter e @leonardomazzeo su Instagram, dove trovate anche @bestiaaale.
Se vi è piaciuta la puntata potete lasciare un ❤️ qui sotto, mi fate felice.
Se poi volete condividerla:
Infine, se non vi siete ancora iscrittə e volete farlo ora:
E grazie, come sempre.
meraviglioso Leonardo, stupenda la tua sensibilità
La presa di coscienza di cui avevo bisogno. Mi metterò un post-it sul calendario per ricordarmi di rileggerlo nei momenti di frenesia e perdita di lucidità.